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Avatar di Daniele Di Rubbo

Stavolta sono molto in disaccordo con le provocazioni che lanci. Questo mi sembra un classico caso di gettare il bambino con l’acqua sporca. Proverò ad argomentare come mai lo sostengo.

L’argomento che i giocatori di ruolo sono già dei nerd discriminati e, quindi, non possono discriminare a loro volta non sta in piedi, se non come provocazione. Da che mondo è mondo, la discriminazione è frastagliata e una persona ha in sé più identità; alcune di queste possono essere soggette a discriminazione, altre invece possono stare in cima alla collina che fa piovere discriminazione sugli altri.

È per questo che tutte le battaglie per i diritti civili moderne non hanno senso se non nella loro intersezionalità: vale a dire che noi che le conduciamo dobbiamo riconoscere che le discriminazioni riguardano tutti, non solo chi le subisce, e che si può contemporaneamente subire una discriminazione ed essere il perpretatore di un’altra. La lotta, quindi, è contro tutte le discriminazioni, assieme; non solo contro quelle che colpiscono noi.

Affermare che i problemi stanno altrove è solo una forma di benaltrismo. Si può tranquillamente fare una battaglia per i diritti delle persone queer *e* per una maggiore accessibilità alla lettura dei manuali. Non sono due cose che si contrappongono; proprio perché si tratta di battaglie intersezionali, dovrebbero andare a braccetto.

È vero che le grandi case stanno in qualche modo marketizzando queste battaglie, perché hanno capito che l’opinione pubblica si sta lentamente sensibilizzando a riguardo, ma questo non le rende battaglie meno giuste. Anzi, ci richiede una posizione di guardia ancora più attenta: sta a noi capire se la campagna di marketing di una determinata azienda è sincera o rientra semplicemente nel “rainbow washing” o nel “green washing” o in altri tipi di “captatio benevolentiae” del pubblico.

Infine, vorrei spiegare come mai è importante che ci siano rappresentazioni delle differenze nella società anche nei giochi di ruolo. In primo luogo, perché queste persone fanno parte della società, quindi è giusto che vengano rappresentate. In secondo luogo, perché includendole nei media dell’intrattenimento si contribuisce a far passare il messaggio che anche loro sono persone come le altre: insomma, si normalizza la diversità. In terzo luogo, perché chi appartiene a una minoranza marginalizzata ha bisogno di narrazioni positive che gli consentano di ricucire le ferite che la società infligge ogni giorni alle persone come lui.

Per tutte queste ragioni, non me la sento di sminuire i temi dell’inclusione, come mi sembra faccia questo articolo, e, invece, sostengo, che siamo chiamati a fare meglio e di più a riguardo.

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